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Francesca Carannante: una voce nuova tra le vigne dell’Oltrepò

Aggiornamento: 22 lug

Updated on: Luglio 17, 2025


Il vino, a volte, è solo un pretesto. Un mezzo per raccontare un percorso, una visione personale, un modo differente di stare dentro la terra. Francesca Carannante ha scelto di partire da sé per dare forma a un progetto agricolo fuori dai consueti schemi: essenziale, diretto, consapevole. Campana di origine, sommelier per passione e formazione, ha messo al centro non solo la qualità, ma anche il linguaggio, le scelte, il silenzio che spesso vale più delle parole.

Il punto di partenza è il Golfo di Pozzuoli, dove la memoria affonda. Il punto d’approdo è l’Oltrepò Pavese, in Lombardia, dove oggi prende vita una micro-produzione artigianale che rifiuta le scorciatoie del marketing e le sovrastrutture del settore. Nessuna impalcatura narrativa: solo vino, solo terra, solo idee chiare. Insieme all’enologo Marco Maggi della cantina Fontanachiara di Stradella (PV), Carannante ha dato vita a una cuvée dedicata, registrato il proprio marchio, e iniziato a imbottigliare una visione. Bottiglie nude, etichette scarne, ma una direzione forte, coerente, riconoscibile.


Un vino che ascolta prima di parlare

Il percorso di Francesca Carannante non segue la traiettoria classica dei produttori. La sua formazione nasce nel mondo culturale e artistico, con uno sguardo laterale e sensibile che oggi si applica al vino come mezzo di espressione. Ogni scelta — dalla vigna alla bottiglia — è pensata come gesto consapevole. Il vino diventa così strumento di osservazione, forma di relazione con il paesaggio, materia viva da cui farsi attraversare.

Le uve provengono dall’Oltrepò Pavese, terra storicamente legata alla viticoltura e conosciuta per la vocazione naturale al Pinot Nero, in particolare nella Valle Scuropasso. Ed è proprio questa varietà che Carannante sceglie di interpretare con una mano personale, attenta e misurata. Nessuna sovraestrazione, nessun legno invadente: il vino resta pulito, trasparente, sincero. Racconta la sua origine senza filtri, lasciando spazio alla materia prima.

La vinificazione segue un’impostazione essenziale: interventi minimi, rispetto massimo. Il risultato è un vino che ha struttura, ma anche eleganza. Che non alza la voce, ma lascia un’impressione duratura. È il tipo di bottiglia che si ricorda più per quello che lascia intuire che per ciò che dichiara.


L’essenza prima dell’apparenza

Anche l’immagine esterna è frutto di una scelta precisa. Le bottiglie si presentano senza sovrastrutture: grafica ridotta all’osso, nessuna concessione alle tendenze di mercato. Il nome — Francesca Carannante — è tutto ciò che serve. Non si cerca di stupire, ma di essere fedeli a un’idea. Ogni elemento, dalla forma alla comunicazione, segue una stessa linea: sottrarre il superfluo per far emergere l’essenziale.

La produzione è volutamente limitata, ogni dettaglio curato con attenzione. Ma dietro ogni bottiglia si avverte un’energia che guarda avanti, che sfida l’omologazione senza rumore. È una scelta di campo, una dichiarazione identitaria.

Chi sceglie questi vini abbraccia una filosofia precisa: quella della lentezza, della trasparenza, dell’ascolto. In un mondo spesso affollato di etichette, la sua è una presenza discreta. Ma chi la incontra, difficilmente la dimentica.


Sono giornalista pubblicista laureata in letteratura e content manager con una grande passione per la scrittura

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